2 - Le aie carbonili

Questa è un’aia carbonile. Quando la miniera era in funzione, qui si produceva il carbone necessario alla fonderia de La Servaz. Non è l’unica aia carbonile presente, pensa che nel Parco naturale Mont Avic ne sono state contate ben 744!

I boschi, ora così silenziosi e selvaggi, non lo erano altrettanto quando era in funzione la miniera. Nel mese di maggio la foresta cominciava a risuonare dei colpi di accetta, degli schianti dei tronchi tagliati e dei richiami dei carbonai, che non di rado avvenivano in dialetti ben diversi dal Patois valdostano. Infatti la maggior parte dei carbonai veniva a “fare campagna” in Val Chalamy dalla bergamasca. A partire da agosto e fino alla prima neve, l’attività si spostava poi nelle aie carbonili, dove si costruiva la carbonaia, la si accendeva e poi la si sorvegliava fino alla completa carbonizzazione della legna.

Come riconoscere le aie carbonili

• sono radure in lieve pendenza, di frequente sorrette da un muro a secco a valle
• hanno forma ellissoidale
• spesso sono posizionate vicino a fonti d’acqua
• sono collegate tra loro da sentieri

Ph. Paolo Castello

Come si produceva il carbone

Il carbone di legna si otteneva “cuocendo” molto lentamente il legno, precedentemente accatastato in grandi pire chiamate carbonaie.
Per costruire la carbonaia si doveva innanzitutto avere una superfice regolare e in lieve pendenza, cosa che richiedeva quasi sempre la realizzazione di muretti a secco per livellare il terreno, ancora oggi visibili. Quindi si piantava un palo nel terreno e si cominciava a costruire intorno ad esso un cono di legname a base ellittica alto 2-3 metri, ammucchiando fino a 40 quintali di legna. Al termine la pira veniva ricoperta con strati di foglie secche e terra. Anche se la combustione era costantemente controllata spesso le carbonaie venivano costruite vicino a fonti d’acqua, per poter intervenire con tempestività in caso di problemi ed evitare incendi al bosco.

Terminata la costruzione della pira, i carbonai inserivano dei tizzoni ardenti all’interno della carbonaia per avviare la combustione, che doveva avvenire molto lentamente affinché il legno si trasformasse in carbone anziché ridursi in cenere.

Iniziava allora la fase più delicata: il fuoco andava gestito e sorvegliato costantemente. Occorreva osservare il colore della carbonaia, che diventava via via più scuro, e la quantità e qualità del fumo che ne usciva, che dava informazioni preziose sullo stato della carbonizzazione. Con regolarità bisognava battere con un bastone la carbonaia per evitare la formazione di vuoti d’aria capaci di “risucchiare” ossigeno dall’esterno; bisognava far entrare aria facendo dei buchi quando si individuavano parti rimaste più fredde o viceversa tapparli se la combustione procedeva troppo in fretta.

Proprio dal fumo il carbonaio esperto capiva quando la carbonizzazione era completa:
• un fumo denso e grigio significava legname ancora troppo umido;
• un fumo rado e azzurrino, quasi trasparente, indicava un ottimo stato di carbonizzazione. Quando la carbonizzazione era completata, cosa che avveniva dopo 5-10 giorni di combustione continua, i carbonai tappavano tutti i buchi per soffocare il fuoco e poter poi estrarre il carbone.

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